Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione Vedi altroCéline, Viaggio al termine della notte
Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello Vedi altroTom Hodgkinson, La libertà come stile di vita
E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote... Vedi altroJonathan Franzen, Le Correzioni
I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte Vedi altroOde al gatto, Pablo Neruda
Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a... Vedi altroL'animale morente, Philip Roth
È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l... Vedi altroZadie Smith, NW
Scrivere significa riscrivere Vedi altroAlbert Camus
“Si erano scavati una tana, dove poter leggere scrivere ed esercitarsi…”
1 Agosto 2019
Sebastiano è convinto che il corso sulla gestione del personale lo aiuterà a essere più appetibile al palato dei recruiter. Non è un’esperienza concreta, vero, ma la teoria ha lo scopo di gettare le basi, noi lo sappiamo: l’università italiana è un immenso cantiere di fondamenta che reggono altre fondamenta; e magari questo candidato potrà mettere in pratica le tecniche acquisite durante il corso online che ha fatto. Cosa ne pensi, collega?
Nella vita di tutti i giorni nessun collega chiama collega un collega; la domanda, tuttavia, è una richiesta di aiuto e per questo ha un suo valore intrinseco. Sebastiano si lascia infatuare dalle promesse di un nuovo corso, da un altro certificato da allegare in calce; chiede consiglio a chi gli sta attorno, e fantastica su cosa potrebbe pensarne una persona che siede in un ufficio e deve valutare una pila di curricula, mentre lui è seduto di fronte al computer di camera sua a setacciare quel deserto sconfinato di proposte formative per disoccupati. Cosa ne pensi di un master in management, formula weekend, in inglese (a sua madre)? Cosa ne pensi di un corso su come vendere infoprodotti in rete (a un amico)? Cosa ne pensi se anch’io… (alla sua ragazza)? Cosa pensi potranno pensare se… (al suo psicoterapeuta)?
Un corso online non ha un vero appeal, però, e i prezzi aurei delle lezioni in aula ribaltano un tavolo al quale lui si è appena seduto; spesso l’abbocco su un possibile sconto valeva per, valeva da, valeva solo nel caso-in-cui. Tempo scaduto. Età in sopraeccedenza. I requisiti non mecciano il profilo.
Ma bisogna tirare avanti la carretta, almeno vedono che non stai con le mani in mano. Sebastiano non è certo l’esempio più azzeccato, perché ha avuto sempre dita nervose, dita da corsa, dita olimpiche. Se la sindrome della gamba senza riposo comincia alle soglie del sonno, la sua sindrome agli arti superiori lo accompagna solo durante la veglia. Sono le proposte di lavoro che legge dalla mattina alla sera a farlo sentire ancora più inadeguato di quanto sia, in maniera incontestabile e certificata; e anche questa enorme fucina di corsi, aperta a ridosso della crisi e ancora in piena attività, ha su di lui lo stesso effetto della ricerca di un lavoro: quante cose da sapere, quante cose dovrebbe studiare, quante cose là fuori che gli altri pretendono. È un menomato, sì, un cervello e un corpo senza applicazione, da ripostiglio; paradossale, vero? Perché di cose da fare ce ne sarebbero, strabordano, ed è facile esserne travolti e annegare. Se gli anni d’inesperienza non possono essere camuffati senza che qualcuno ti becchi alla prima domanda tecnica – le peggiori, si sa, non puoi millantare, o sai o non sai – almeno una toppa di corsi formativi potrebbe coprire il buco o i buchi, ciò che ha una profondità, come la nostra ignoranza abissale.
Requisito e offerta: X anni come gestore del personale? Corso sulla gestione del personale, costo: X euro / Requisito e offerta: X anni nella preparazione delle busta paga? Corso pratico di busta paga e gestione del personale, costo di entrata: X euro; ma se hai meno di y o più di z, un affare a partire da…?
C’è uno sfinimento che non è l’apice della fatica, ma risiede comunque nello sforzo di una corsa, di un affanno, dove però non c’è una direzione.
Ma alla fine, pure tu Sebastiano! Potevi pensarci prima a cosa volevi fare nella vita, a chi volevi essere nella vita, a come raggiungere i tuoi obiettivi, a come pianificarli, a come affrontare le frustrazioni e le sconfitte, e a trasformarle in propellente per il successo. Ma sei fortunato a vivere in quest’epoca, lo sei e non te ne accorgi: c’è un corso per imparare tutte queste cose che fa proprio al caso tuo. Ed è solo al costo di X euro, fino a venerdì, per quelli che hanno meno di Y anni.
Non stare con le mani in mano. Affrettati.
2 Maggio 2018
Natalia vuole aprire un blog di moda e turismo.
La folgorazione non poteva venirle che al di sopra delle nuvole di un cielo quasi in tempesta, superate le coste portoghesi sul volo AF756, dal Nikola Tesla di Belgrado al JFK di New York, due mesi prima che la compagnia decidesse di non rinnovarle il contratto assieme ad una quindicina di sue colleghe. Natalia non era entusiasta del proprio lavoro, e il contraccolpo, per quanto concreto, non l’ha gettata nell’economia della disperazione grazie alle disponibilità del padre.
Ci sono circostanze in cui le risposte arrivano prima delle domande. L’interrogativo pericoloso: “E adesso che faccio?”, nel suo caso, era stato anticipato dal commento di una signora con una voglia stampata sul mento, che sfogliando una rivista, aveva espresso il suo entusiasmo, accostando al piacere il suo complemento oggetto: “I like this blue dress”, come se avesse rivolto una lusinga alla modella di colore che lo indossava. Natalia stava per servirle il pranzo, ma l’incontro con il volto piacevolmente assorto della signora, il vestito spumoso della modella e la scenografia che le faceva da sfondo – un’aurora boreale che serpeggiava nel cielo e una sorgente d’acqua fumante alle sue spalle – le avevano sussurrato, non senza eccitazione, la parola blog, prima di porgere la confezione monouso alla passeggera: “La sua omelette con insalata mista, signora… Buon appetito”.
Tuttavia sarebbe stato più semplice unire la passione per la moda a quella dei viaggi, se Natalia non avesse perso il lavoro. A New York avrebbe potuto comprare un vestito vichy a quadretti e farsi fotografare tra gli alberi e i lampioni di Central Park, o a passeggio tra le strade affollate di Manhattan. A Dubai, avrebbe indossato un abaya e avvolto i suoi capelli sfumati in un classico foulard nero, o sfoggiato un tradizionale abito rurale sulle rive del fiume Doura a Porto quando il tramonto increspa le acque di rame.
E adesso, come fare?
Un interrogativo, questo, arrivato prima della sua risposta.
Viaggiare è un costo eccessivo per una disoccupata, e chiedere i soldi al padre per realizzare un sogno, che si sarebbe autofinanziato un domani grazie agli introiti ricavati dagli inserti pubblicitari di google, non era in sintonia con l’educazione ricevuta dai genitori, almeno nelle prime settimane del suo nuovo status d’indigente con scappatoia. Ma l’abbondanza di quella nuova idea rimaneva costante giorno dopo giorno, tanto che Natalia ne rimase sorpresa, arrivando a credere che settantasei ore di fila fossero l’implicita conferma che il destino avesse scelto al suo posto, e lo avesse fatto con cognizione di causa. Lei avrebbe dovuto solo ubbidirgli, vestendosi bene e cercando uno sponsor per i biglietti d’aereo.
Benché Natalia non abbia ancora deciso da dove iniziare, se aprire un blog prima di avere un album di fotografie, o buttarsi in rete con indosso i vestiti tipici della sua città, ha già modificato il suo profilo Facebook con un aforisma di George Bernard Shaw, dopo averlo trovato digitando sul motore di ricerca le parole chiave: frasi – passione – lavoro.
Ora, chiunque vada sul suo profilo o lo intercetti per caso, leggerà, con una modifica al soggetto dell’aforisma, la seguente certezza: “Una donna è arrivata quando fa per mestiere quel che farebbe gratis”.
30 Novembre 2017
Marco spalanca gli occhi.
Lo stesso incubo. Ormai da mesi.
Siede ai bordi del letto, prende una sigaretta e l’accende. La porta finestra è aperta. Entra un refolo d’aria, quel tanto che basta da sbaragliare il moto ondulatorio e verticale del fumo per disperderlo.
L’ossatura centrale dell’incubo è sempre la stessa. Cambiano solo alcuni dettagli. I colori sono vivi, le voci anche. Le sensazioni fisiche sono acuite; una tempesta elettrica nel cervello che di solito la veglia riduce a una continua e intensa precipitazione.
Gli portano via i figli.
Le loro facce e i loro corpi, che ha vestito e tenuto sulle spalle, di cui conosce peso e misura; e che stavano nei palmi, poi tra le braccia, sulle spalle, e ora corrono, saltano, fanno capriole che a lui non riescono più.
Nell’incubo sono limpidi come nella realtà. Ci sono la carne, le ossa, i capelli castani del primo, quelli arruffati e corvini del secondo.
Ci sono i polsi. A lui sembra di stringerli, di tirarli a sé, come se afferrasse le corde di vele spiegate. Ma non possono nulla: la contrazione dei muscoli, la disperazione, l’invincibile forza di un padre.
Tutto Inutile.
Gli altri sono irriconoscibili, invece. Sagome sfumate che si aggregano. Poco più alte di lui. Marco scalcia, sbava e urla, mentre loro li portano via, senza però averne avvinghiate le spalle, le braccia o i polsi. La loro forza gravitazionale è la massa annacquata che si espande: l’indifferenza predatoria di un buco nero. Li trascinano senza toccarli. E lui spalanca gli occhi. Il cuore che sfracella in ogni arteria, vena, capillare. Una catena ripetuta di esplosioni.
Un martirio. Nel nome santo dell’incertezza.
Il catering. Lo hanno chiamato poche volte negli ultimi due mesi. Deve darsi una mossa. Ci sono anche le consegne in pizzeria: dovrebbero fargli sapere tra una settimana. Ci sarebbe la possibilità sia a pranzo che a cena. Salterebbero fuori una quarantina di euro al giorno. Non si fa tutto, certo, ma si fa molto con quella cifra. E il minestraio, gestito da uno che viene dal suo paese. Se alla fine di alcune preghiere masticate lo assume, dovrebbe occuparsi della cassa. Ma ha paura che l’attività non andrà avanti. Il proprietario non ha cura delle vetrine, i depliant sono ancora quelli della gestione precedente, con piatti che non vengono più serviti. Inoltre non lo pubblicizza; né i volantini, né una pagina su Facebook, né un sorriso quando entra un cliente.
Come può pretendere di andare avanti?
Prima le cose andavano bene. Marco, però, voleva crescere i figli da un’altra parte. S’immaginava meno storie, meno schifezze, meno caos, meno imposizioni, più possibilità. Una vita tranquilla, così pensava.
Tra poco arriva l’estate. I genitori di sua moglie porteranno i nipoti al mare. In loro assenza hanno buttato giù un piano. Marco cercherà in tutti i ristoranti, anche in quelli di provincia. Lei farà lo stesso. O forse gli anni di ragioneria l’aiuteranno. Una piccola azienda a gestione familiare, un ufficio senza troppe pretese, una cassa al supermercato. Difficile, senza dubbio. Quasi nessuna esperienza. Non ricorda più neppure la teoria. Ma perché non tentare.
Un imprevisto.
Un piacevole imprevisto.
Ecco cosa sarebbe ottenere un posto da impiegata.
Prima di trasferirsi, Marco si era creato un lavoro nella nuova città. Sembrava sicuro, una certezza. O forse sono stato io a volermi convincere. Ma poi è fallito. C’avevo investito anche dei soldi, parte dei risparmi. Una piccola impresa; sempre nella ristorazione, il suo campo.
Ma perché non ha funzionato?
Io le vetrine le ho sempre pulite. Sorrido perché sono contento. I buoni commenti sulla bocca di tutti erano la mia pubblicità migliore.
Adesso è inutile cercare di riaddormentarsi.
Finita la sigaretta, si metterà al computer per ricavare una giornata, o magari un weekend intero per qualche azienda di catering che sta cercando. Poi continuerà ad andare in giro per la città, in anticipo, sul piano che ha buttato giù con la moglie.
Come aveva sentito dire in quella trasmissione, un mese prima?
I sogni non sono mai premonizioni, ma cose già avvenute nella testa.
11 Agosto 2017
Armando ha scelto di camminare.
A quei pochi che si fermano per parlar con lui, quando lo incrociano con lo sguardo rovesciato sul marciapiede e le unghie ficcate in bocca, risponde che ha deciso di perdere qualche chilo. Per giustificare il consumo delle sue All Star, alza la maglietta e dà sfoggio di quanto l’ombelico non sia più in asse con lo sterno. La pancia ha bisogno di un restauro, o di alcuni candelotti di dinamite.
Ma a nessuno è sfuggito che Armando ha iniziato a camminare dopo il mancato rinnovo del contratto. Tre anni all’interno di un bar, relegato in quarantena a farcire panini e brioche salate, a causa di una balbuzie che ha aggiunto una preposizione al suo modo di essere: Armando, infatti, sta dietro. Dietro agli scaffali, dietro a quei pallet, dietro in cucina.
E dire che bastava un logopedista. Avresti dovuto farlo quando era tempo. Quante volte gliel’hanno detto i suoi amici; gli stessi che non si fermano quando lo vedono scalciare il marciapiede, e dentro di sé lo adocchiano come se la copia non conforme di Tom Hanks abbia deciso di camminare, nulla più, come Forrest Gump aveva deciso di correre, pace all’anima sua, solo perché ne aveva voglia.
Ma se non si aggiusta la voce, come lo troverà un impiego? Vuoi stare davanti a qualcuno, per amor del cielo, senza fargli venire voglia di scappare, saltando sulle tue sillabe inceppate come si salta sui sassi al fiume. Vuoi capire che un giorno i panini li farcirà un robot, prodotto da una società Hi-Tech di catering? Che quegli scatoloni laggiù non hanno più bisogno di braccia umane, e che un giorno i muletti parleranno la tua stessa lingua, e sai cosa? Loro di sicuro non tartaglieranno. Capisci che questo mondo si sta trasformando in un’iper premurosa e cinica macchina parlante, la nostra sfavillante Supercar, e quando tu dovrai farle capire dove sei, appena sentirà la palla da biliardo attorcigliata alla tua lingua, sai cosa farà? Ti lascerà a piedi. E prima che tu riesca a dirle: “KITT, torna indietro. Sono rimasto solo”, finalmente – e questo non lo pensano quegli sciocchi dei tuoi amici al bar – scoprirai di non esserlo più. La grande macchina parlante avrà lasciato a piedi una buona fetta di esseri umani, che cammineranno con te, sfregando le suole sul cemento.
Nessuno sa cosa passi per la testa ad Armando. Nessuno. Cammina con le dita ficcate in bocca, e non guarda davanti a sé. Forse in questi giorni l’hanno chiamato per stare: dove?
Dietro.
E forse allora non lo vedremo più per le strade del quartiere, perché starà rammendando la sua lingua in qualche sgabuzzino. E in questo caso, per lo meno, buttare giù la pancia sarà un problema da viziati; da risolvere un domani, quando non gli rinnoveranno più l’ennesimo contratto.
Ma intanto cammina,
Armando
Cammina
28 Maggio 2017
Tiziano è fuori con i cani.
Ninive ha gusto per i sassi. Setaccia il marciapiede, la terra erbosa, il cemento nei parcheggi, e se l’infila in bocca di nascosto come una ladra. Poi si volta, per vedere se il padrone ha lo sguardo fisso e la testa colma di pensieri; e appena s’accerta che Tiziano è altrove, inizia a lavorare la pietra di mandibola. Ma al primo stock! ha già attirato l’attenzione, e al secondo: braccio e guinzaglio le consigliano di restituire al suolo il minerale.
Kratos è più svogliato. Cinquanta chili di cristiano che si trascinano un passo alla volta. In una vita precedente era un animale da soma, e ora: un Dobermann che preferisce la lentezza. Quando vuole un po’ d’affetto, allunga il muso d’Anubi sulla coscia del padrone, o lo incastra nell’incavo del braccio.
Una botta da quattrocento euro, la settimana scorsa: gli esami del sangue per Ninive e i richiami per Kratos. Ormai l’indennità di disoccupazione è un piatto semivuoto. Un calo del tre per cento ogni mese, e ne sono già passati tredici. L’affitto, le bollette, le spese condominiali, il cibo per i cani; riesce a limare mangiando da sua madre. Se non saltano gli accordi per quel nuovo appartamento fuori città, con un piccolo giardino, riuscirebbe a mettersi in tasca un paio di banconote in più e a dare un palmo d’erba ai due segugi, quando lui non ha voglia di uscire. Ma va bene così, è una routine, salutare. Tre volte al giorno. Tre ore buone. I cani danno una cadenza, sono un metronomo.
Il percorso è sempre lo stesso. Dal mercatino, superano i paletti ed entrano in Villa, una zona ad alto rischio; e infatti la sirena lampeggia ancora: un Dogo argentino, imponente e aggressivo, ad ore nove. Tiziano tiene stretta Ninive che freme, trema e guaisce, tira e si blocca, in estasi per quella visione. È meglio andare via, prima che Kratos si accodi all’attaccabrighe; la stessa che gli mangia le crocchette la mattina e pretende il posto di fianco al padrone sul letto.
Dalla Villa arrivano in via Rinaldi – un ragazzo e i suoi cani, sei zampe e una strada – fino alla Baracchina, dove passava interi pomeriggi con gli amici, per poi deviare sulla sinistra ed entrare a Parco Alessandrini: con il campanile della chiesa a sud e le panchine rotte a est. C’è qualcuno che passeggia in circolo; un anziano e una badante ormeggiati su una panchina.
I cani vanno a giocare sull’erba.
S’azzuffano, masticandosi le orecchie.
Tre volte al giorno, Tiziano. Ti tiene in vita. Ninive presa da un privato, quando lui aveva ancora un lavoro; Kratos da un’associazione che accudiva Dobermann maltrattati, quando non ne aveva più uno.
Forse ho fatto male i miei conti. Pazienza. Pensavo fosse più facile trovare un impiego. Ingenuo. C’è scritto categoria protetta sul mio curriculum! Ma a nessuno gliene sbatte. Di questi tempi non è che te la danno così facilmente. Ci sono visite, esami, richiami – documenti, domande, sospetti. Non è più come una volta. Ci sono motivazioni serie. Ma nessuno chiama. Solo quelli che vogliono investire su di te: tua la macchina, tua la benzina, tue le beghe, tuo il mondo, se ci credi.
Cosa posso dire?
Pazienza
Aveva trovato un lavoro, pochi mesi prima. Controllore titoli di viaggio. Faceva i turni. Quello del pomeriggio era complicato. Suo padre andava dai cani dopo pranzo. Lui tornava sempre verso le dieci, e doveva portarli fuori. Invece il turno della mattina era il più massacrante. Si alzava alle quattro e mezzo. «Andiamo!», li riportava a casa, riempiva le ciotole, e poi dritto sugli autobus. Una mattina, il superiore gli fa: «Ma perché hai sempre la faccia così sbattuta?». I cani, risponde. «Prendi anche delle medicine?». Glielo aveva chiesto. Veramente. E lui è uno che non riesce a dire le bugie. Sì, quelle che mi ha prescritto il Sert, risponde. E a fine giornata lo avevano licenziato. Ma c’era scritto categoria protetta sul curriculum! Mi avete chiamato lo stesso. Lo sapevate. Io non faccio casini. Vivo con i miei problemi, ma sto imparando a gestirli. Non sono calmo, ma nemmeno burrascoso.
Pazienza
Un po’ meno, ma pazienza
Non va giù, ma pazien..
Anche la psicologa del lavoro lo aveva messo in guardia, «ormai le aziende preferiscono pagare una multa che assumere una categoria protetta». Non sai mai chi ti metti in casa. Può essere un pazzo. O puoi essere tu. E adesso respira. Come t’hanno insegnato. Sciogli la tensione. Meno gocce e più aria nei polmoni. È meglio stare zitti. Pazienza. Non sai mai chi ti metti in casa. È vero. Magari una casa con un giardino per i cani.
“Ninive!”
Kratos si volta, e con fare indolente gli stende il muso d’Anubi sulla coscia; mentre la scalmanata si avvicina, abbassa il capo, e alza gli occhi gonfi, sull’orlo del pianto per quel richiamo ingiusto, lasciando cadere sulle scarpe di Tiziano: un filo di bava e una pietra scalfita.