Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

14 Aprile 2017

Rebecca

Rebecca preferisce studiare in centro.

La biblioteca vicino a casa sua la mette a disagio: è imbottita di ventenni, con i loro volti pronti a detonare davanti al suo. Leggere le dispense; sottolineare le informazioni per ricavarne degli schemi grandi come carte da Monopoli; dilatare la propria concentrazione per trasformare la grezza materia di studio in una conoscenza più raffinata, almeno per passare l’esame, e dirsi, dopo anni d’inattività: «Meno uno, avanti il prossimo»; non è così semplice quando attorno a lei, sono dispiegati ragazzi con la testa china sui libri, l’aria di chi ha un compito da svolgere ma non dei compiti da fare: studenti nati a ridosso del nuovo millennio. E sebbene lei abbia un volto puerile e la sua vera età passi inosservata facilmente, sentirsi fuori luogo la spinge a prendere l’autobus per andare in una biblioteca, dove la vista di persone più mature la risparmia dall’impietoso paragone del tempo. Il fatto che loro siano lì a leggere o a studiare – alcuni con i capelli brizzolati, altri con vestiti sciatti, solo per coprirsi e non per appartenenza – la fa sentire più affine a un possibile futuro. Lì c’è ancora spazio per lei, nell’età di chi le siede accanto.

Sua madre però la tratta come se fosse ancora una liceale; ogni sera, prima di sedersi a tavola, le chiede con il cipiglio di una tutrice se oggi la sua allieva ha studiato. A trentadue anni è ancora più difficile rispondere dissimulando il fastidio, pari solo all’imbarazzo di quando le chiede i soldi per le sigarette o la benzina. Non è lei che si sta pagando le rette; e quindi, all’interesse della madre, Rebecca abbozza un sì strascicato, «ho studiato tutto il pomeriggio», prima di cambiare discorso, e domandarle di rimando come sia andato l’ennesimo torneo pomeridiano di burraco. «Si vince e si perde», le risponde, per poi farle notare che ci sono troppe briciole di pane su una tovaglia appena stesa per la cena.

Prima faceva un lavoro che amava e di cui aveva paura. Disegnava loghi, brochure, infografiche; ma ritardava ogni consegna. Intirizzita dalle scadenze, si stendeva a letto, e si copriva per ragionare ancora cinque minuti su come attenuare un dettaglio troppo vistoso; cinque minuti sullo stacco di un’immagine; cinque minuti pensando che magari non ce l’avrebbe fatta a consegnare ciò che volevano i clienti; cinque minuti riflettendo su quanto i suoi datori di lavoro ci avrebbero messo a scoprire che non era adeguata; cinque minuti: perché là fuori c’è una torma di ragazzini, di appassionati, di professionisti molto più bravi di lei; cinque minuti a dirsi che comunque stava facendo ciò che le piaceva, e a chiedersi, quasi obbligata da un corrosivo senso del pudore: ma questo è veramente possibile? Sto facendo ciò che mi piace? Una come me? Fino a quando ogni domanda trovò da sola una risposta. Del tutto prevedibile. Un pomeriggio. Attorno a un tavolo. Sembravano stanchi e dispiaciuti ma costretti. E se ne sentì sollevata, fino a quando davanti al computer di casa, quella sera, comprese che il giorno dopo non avrebbe più dovuto accenderlo per lavoro.

E adesso, seduta a un tavolo illuminato da una finestra ad arco, sta studiando per l’esame di letterature comparate. E per carità, la sua laurea sarà poco appetibile per i gusti del Mercato, ma è il quinto esame, e ne ha già passati quattro in meno di due mesi. E va bene la baby sitter, la commessa, la segretaria, la postina, un la qualsiasi per un la di tempo: basta un part time, mentre si avvicina l’incoronazione, pur di non elemosinare più soldi per le sigarette e la benzina. O per l’abbonamento mensile dell’autobus, fino alla biblioteca in centro.

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