Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

Tatto

La cavia

Sarò stato ubriaco, ma chi se ne frega. Non era casa mia, e cominciai a toccare tutto. Le porte, tipo; non era certo come toccare l’albero di una foresta, ma era come se quell’albero si fosse fatto la barba e si fosse spalmato di crema idratante. La carta igienica, invece, mi sembrava così ruvida, come la parte dove strofini la capocchia dei fiammiferi per accenderli. Così decisi di non pulirmi, ma mi lavai le mani lo stesso. E ti giuro, sono riuscito ad agguantare il flusso d’acqua che scendeva dal rubinetto. Poi l’ho mollato, perché scottava. Ho soffiato sopra i polpastrelli, ma godendo poco: il fiato è caldo. Quando sono uscito, ho iniziato a toccare le persone. Volevo costatare quanto fosse artificiale la loro pelle. Ero convinto che tutto fosse fatto di plastica e prodotti chimici affini, tranne le mie mani. In quel laboratorio, fra tutti gli invitati, ero rimasto il solo ad avere pezzi originali. La mia pelle, a toccarla, mi dava pace.

Francesco Montori

Chiunque potrà scrivere e rendere visibile il proprio esercizio, dopo aver lasciato l'indirizzo email.

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