Tatto

La cavia
Sarò stato ubriaco, ma chi se ne frega. Non era casa mia, e cominciai a toccare tutto. Le porte, tipo; non era certo come toccare l’albero di una foresta, ma era come se quell’albero si fosse fatto la barba e si fosse spalmato di crema idratante. La carta igienica, invece, mi sembrava così ruvida, come la parte dove strofini la capocchia dei fiammiferi per accenderli. Così decisi di non pulirmi, ma mi lavai le mani lo stesso. E ti giuro, sono riuscito ad agguantare il flusso d’acqua che scendeva dal rubinetto. Poi l’ho mollato, perché scottava. Ho soffiato sopra i polpastrelli, ma godendo poco: il fiato è caldo. Quando sono uscito, ho iniziato a toccare le persone. Volevo costatare quanto fosse artificiale la loro pelle. Ero convinto che tutto fosse fatto di plastica e prodotti chimici affini, tranne le mie mani. In quel laboratorio, fra tutti gli invitati, ero rimasto il solo ad avere pezzi originali. La mia pelle, a toccarla, mi dava pace.
Francesco Montori