Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

17 Aprile 2020

Barbara

(Dall’Italia a Tulum)

Barbara si sta riscaldando per la prossima lezione di Yoga.

Riscaldarsi non è solo preparare il corpo perché sia flessibile e resistente come un arco, ma le permette di trovare la concentrazione giusta, di indossarla come un Sari.

Uttanasana, la posizione d’intenso allungamento, la parte posteriore del corpo completamente distesa, la parte anteriore che sfiora le gambe, le mani attorno alle caviglie, la testa rasente sul materassino, il respiro che guida i movimenti.

Asana, il Saluto al Sole, dodici posizioni dove a ogni apertura del corpo corrisponde un’inspirazione, e un’espirazione a ogni chiusura. Anche il Mar dei Caraibi segue lo stesso movimento, mentre Tulum guarda l’orizzonte dall’alto delle sue scogliere, e trattiene il suo respiro nelle antiche rovine della civiltà Maya.

Numerosi turisti frequentano le sue lezioni; non mancano neppure i messicani del posto. Lei usa ancora l’inglese, ma sta imparando in fretta lo spagnolo. Lo Yoga le ha permesso in un primo momento di fuggire da una vita che le iniettava più ansia nel corpo di quanto le permettesse di respirare regolarmente, così: usando il diaframma, espandendo prima l’addome e poi i polmoni ed espirando dalla bocca.

Aveva preso quel poco che le serviva ed era volata a Goa, in India, per fare un corso abilitante all’insegnamento, secondo i criteri dello Yoga Alliance. Tre settimane intense.  Due ore di pratica la mattina, due ore il pomeriggio, affiancate dallo studio dell’anatomia e della filosofia di questa disciplina millenaria. Nel corso c’erano una ventina di persone provenienti da tutto il mondo. A turno, ognuno doveva insegnare una posizione agli altri. Niente di più difficile.

Un giorno, mentre erano tutti in piedi, le gambe divaricate e le braccia distese con un blocco di legno tra le mani – una posizione difficile da mantenere anche solo per pochi minuti – il maestro aveva detto alla classe: “Non guardate in alto perché significa guardare il futuro, non guardate in basso perché significa guardare il passato, ma guardate davanti a voi, alle vostre mani, al blocco che reggono, perché questo significa restare nel presente”, e lei era scoppiata a piangere, con una tale foga e una tale disperazione da lasciarla senza forze per continuare. Come le successe mesi dopo, stipata in una corriera con un centinaio di persone durante la stagione indiana dei matrimoni. Stava andando a uno di essi, invitata da un suo collega con cui aveva lavorato in un ristorante a Goa. Dopo una breve odissea era riuscita a prendere una corriera stracolma di persone, agghindate a festa, di ritorno nei rispettivi villaggi; ma il loro peso e il peso del loro entusiasmo avevano fatto sì che una ruota si bucasse. Lei era seduta con altre due donne su due sedili, e ognuna di loro aveva in braccio un bambino da accudire: il suo, non curante del pandemonio di cui era spettatore, continuava a mangiare fagioli e cipolle da una sacchetto di plastica. Barbara era scoppiata in lacrime, un pianto non meno disperato di quello fatto nell’ashram mesi prima durante la lezione, solo molto più silenzioso, un pianto muto, discreto, nella baraonda non se n’era accorto nessuno. Era crollata perché impotente, perché non aveva polso sulla realtà, non poteva cambiarla. Tutto tornava, quindi.  Tornava la fuga dall’Italia, l’India e poi l’Indonesia e infine il Messico. Tornava lo Yoga, in passato un escamotage per scappare, e ora un lavoro dal quale non vuole fuggire.

Ciò che insegna ogni vera pratica spirituale è l’accettazione del qui e ora, di ciò che non puoi cambiare, ma di farne esperienza, totalmente, come unico momento di vita disponibile: essere bloccata nelle campagne indiane su una corriera, dove non c’era spazio nemmeno per un grumo d’aria, era quindi un buon inizio per esercitarsi.

Da quando si allenava sui tetti per fare pratica dopo la fine del corso, a quando, sola, nelle camere comuni degli ostelli dove pernottava, stendeva il suo materassino per allenarsi, le settimane sono diventate mesi, e i mesi sono diventati più di un anno, e ora gli allievi stanno per entrare in classe. Adesso è pronta per accoglierli e cominciare la lezione.

La porta si apre.

Loro entrano.

Namasté.

Iniziamo, ora, con alcuni respiri profondi.

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