Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

MA PRIMA, C’È (racconto)

Era uscito per fare un giro in bicicletta, come ogni domenica mattina, pioggia e neve permettendo; 15 chilometri di pianura, 5 di salita, 5 di discesa; aveva fatto stretching al parco, sotto casa; dato gli ultimi sorsi alla borraccia; parcheggiato il bolide ultraleggero in garage; l’odore della torta ai lamponi lo aveva tirato a sé dal portone del palazzo; era entrato in casa, un sole debole sbiancava le pareti; e dopo aver aperto la porta del salotto, e aver dato una veloce occhiata in giro, Zoran scoprì che l’aspirapolvere era sparito.
Lui se lo aspettava lì, venirgli incontro come un cane con il suo padrone, mentre continuava ad aspirare le micro particelle di sporcizia sul pavimento. Il corpo del reato, o del mistero – poiché sembrava che non mancasse nient’altro di valore – era il Robot CleanDomestic 620, comprato su Ebay pochi giorni prima.
Zoran era un grande estimatore dei gadget. Pensava che il vero godimento fosse riconducibile alla soddisfazione di ogni impulso commerciale; i suoi coincidevano con lo sfarzo di pubblicità congeniate per farlo sentire unico; abilità che lui apprezzava perché capace di mantenere ciò che prometteva.
La sola caratteristica, che permise a Zoran di essere menzionato in alcune riviste di psicologia e che lo differenziava nettamente dai consumatori suoi pari, era il costante uso del tempo presente nella lingua parlata e scritta. Non era certo un vizio o una posa, ma un problema che si portava dietro da quando la necessità di struttura delle frasi di senso compiuto aveva richiesto l’uso di un tempo verbale. Lui aveva scelto il suo. E lì si era fermato. Se la vita è un eterno presente, il passato e il futuro solo astrazioni indispensabili agli uomini per capirsi a vicenda, Zoran aveva preso alla lettera la prima affermazione, preoccupandosi fino a un certo punto della seconda. Non aveva mai sussurrato all’orecchio di sua madre: “ho fatto la cacca”, ma sempre e solo, ad azione compiuta, “io cago”. Ciò non aveva mai ostacolato la sua famiglia a prendersi cura di lui. Ogni sforzo per fargli utilizzare altri tempi verbali si era dimostrato inutile. Era cresciuto così, avendo il senso di un tempo lineare, come tutti, ma non la capacità di esprimerlo in una forma corretta in base al calendario degli anni, dei giorni e delle ore.

[…]

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