Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

LA DOLCE (racconto)

Una mattina di febbraio, dopo aver fatto colazione, decise di andare in farmacia; per sgranchirsi le gambe, pensò, e si era sentito ridicolo. Non che la cosa gli importasse veramente; era solo il lavorio dell’inconscio, servito sul piatto del pensiero razionale, che in alcune circostanze si rivelava talmente assurdo da sembrare grottesco. Si ricordò di aver letto da qualche parte di un condannato alla ghigliottina durante il regime del terrore, che prima di uscire dalla sua cella per essere condotto al patibolo, aveva detto con enfasi alle guardie: «Finalmente esco per prendere un po’ d’aria». Si era ritrovato a riflettere su quell’inutile e disperato sostegno del cervello, come se qualcuno avesse buttato una bottiglia d’acqua a una persona che sta morendo di fame.
E aveva ragionato che la pancia, per un niente, si sarebbe riempita lo stesso.

Sentiva ancora l’esigenza di uscire, ma non ne fu sorpreso. Esigere non bastava. Non aveva mai avuto chissà quale ruolo in passato, e non l’avrebbe avuto nemmeno quel giorno. Sapeva che ogni cosa esigeva altro per funzionare; e fino a quando questa dipendenza continuava il suo corso, ciò che dominava era il silenzio. Solo nel momento in cui la garanzia fosse cessata, la quiete sarebbe venuta meno; ma la rivolta per riappropriarsene, nel suo caso, non era mai durata chissà quanto.
Pensò alla mancanza d’aria nei polmoni; all’intero corpo teso in allarme; al cuore che scalcia per trovare una via di fuga.
E gli venne da respirare.

Così, per sgranchirsi le gambe, aveva messo in testa un basco di lana, indossato la giacca a scacchi, gli scarponcini di cuoio antiscivolo – fuori si congelava, e le previsioni del tempo non facevano sperare in una scorribanda di venti caldi provenienti da Sud -; aveva impugnato il bastone con la punta d’acciaio, si era grattato il collo perché la sciarpa gli prudeva, aveva aperto la porta, guardando le macchie brune sulla mano attorno alla maniglia, l’aveva chiusa con due mandate, strofinando le scarpe sullo stuoino, come se fosse appena rincasato.
E prima di uscire all’aperto, aveva caricato il suo orologio da polso.

[…]

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