Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

4 Giugno 2019

La prima chiamata senza fili

 

Questa rubrica è dedicata a scoperte, invenzioni e avvenimenti. Racconti che hanno come base verità storiche, e alcune licenze letterarie sparse lungo il loro breve svolgimento.

 

 

New York Hilton Hotel

6°Avenue, 53° strada

New York City

Midtown Manhattan

                                                                                         

3 Aprile 1973

 

Martin Cooper aveva smesso di parlare davanti a una nutrita schiera di giornalisti, arrivati all’Hilton per assistere alla presentazione del primo telefono senza fili. Così era stato promesso dalla Motorola Incorporation, la società per la quale Cooper lavorava dal 1954.

Le persone sono in continuo movimento. Noi siamo essenzialmente esseri-viventi-mobili. Il concetto era stato ripetuto più volte durante la conferenza stampa. Per quanto potesse suonare come un’ovvietà per i cronisti presenti, l’obiettivo era di accentuare il contrasto tra ciò che la Motorola aveva portato a termine e quello che i ricercatori della Bell, la rinomata divisione Ricerca e Sviluppo della società American Telephone & Telegraphe, stavano cercando di portare a compimento: una nuova versione del telefono per automobili. Sebbene già dal 1930 alcuni americani potevano vantarsi di averlo nelle loro Ford, nelle zone urbane era facile che il traffico delle chiamate si congestionasse, così da trasformare le attese in un tempo senza fine. Non bisognava digitare nessun numero, ma solo collegarsi alle poche frequenze radio disponibili. Il sistema rimase immutato per decenni, fino a quando i ricercatori della Bell non escogitarono di mappare il territorio con quelle che vennero chiamate celle, per far sì che il segnale potesse transitare da una all’altra, grazie all’utilizzo di trasmettitori sparsi per le città. La notizia ebbe la sua eco, ma due punti fondamentali avevano innervosito Cooper e il suo team: il primo era che l’AT&T aveva sempre avuto il monopolio dei servizi sui telefoni fissi, cosa non certo gradita alla pur seppure piccola ma promettente Motorola; il secondo era l’idea che il futuro della comunicazione fosse ancora legato alle automobili: una specie di smacco, una mancanza di creatività, per loro non più accettabile.

Le persone non vogliono parlare con le macchine. Nemmeno con una scrivania né con un muro. Le persone vogliono parlare con altre persone, ovunque esse si trovino. Gli slogan di Cooper erano riusciti a tenere accesa l’attenzione dei giornalisti, che trovarono molto audace la richiesta fatta alla Federal Communications Commission di concedere il permesso alle società private per operare nelle comunicazioni di rete attraverso le frequenze radio. La Motorola aveva le idee chiare e un percorso da battere. La sfida al monopolio dell’AT&T era stata lanciata davanti all’opinione pubblica e il cellulare che Cooper aveva appena finito di descrivere rappresentava il miglior viatico per ottenere quel permesso. Ma a pochi minuti dalla conclusione della conferenza stampa, l’ingegnere di Chicago, in giacca e cravatta, con i capelli brizzolati pettinati con cura all’indietro, afferrò con una mano il prototipo del primo cellulare portatile, il Dyna-Tac, e con l’altra indicò a uno dei giornalisti presenti di seguirlo fuori dalla sala conferenze dell’Hilton.

Appena usciti, Cooper guardò istintivamente in direzione della Burlington Consolidated Tower. Per ottenere il giusto effetto mediatico, lui e alcuni ingegneri della Motorola avevano installato un trasmettitore sul suo tetto il giorno prima. Sebbene la precisione lo avesse distinto in tutta la sua carriera, Cooper continuava a chiedersi se il cellulare avrebbe funzionato, benché fossero state fatte molte prove dall’esito positivo.

«Quindi, Mr. Cooper, lei è sicuro che il vostro nuovo telefono avrà un impatto sul mercato? Dopo la Giornata mondiale della Terra di tre anni fa, dovremmo aspettarci di celebrare la Giornata mondiale del Telefono Senza Fili? Secondo lei vedremo anche Nixon passeggiare per i giardini della Casa Bianca, parlando attraverso un telefono come quello? Che cosa mi consiglia di scrivere domani come titolo sul New York Times?»

Martin non stava prestando attenzione alle parole del giornalista, che sembrava al contempo divertito e stuzzicato dall’apparecchio che Cooper teneva in mano. L’ingegnere della Motorola non voleva dirgli che stava pensando a chi chiamare, dettaglio che in tutti quei mesi non aveva preso in considerazione.

«Non saprei. Nel nostro team ripetiamo che alle persone appena nate, in futuro, verrà assegnato un numero di telefono, e se non risponderanno ad ogni chiamata, ne pagheranno le conseguenze… amaramente. Ma forse questa previsione le potrà sembrare un po’ macabra. Tralascerei un titolo che suoni come a una condanna, anche se dopo averlo letto, chiunque finirebbe l’articolo… forse andrebbe bene per l’attacco iniziale».

Cooper iniziò a camminare sul marciapiede con passo febbricitante.

«Un buon titolo potrebbe essere: La Motorola presenta il telefono senza fili. Chiaro e conciso, non le pare?»

Il giornalista se lo segnò velocemente sul taccuino mentre inseguiva Martin, che diede una fugace occhiata ai brevi rimbalzi della macchina fotografica a tracolla del cronista.

«Quindi l’idea gli è venuta perché un sovrintendente della polizia venne da voi lamentandosi del fatto che i suoi poliziotti rimanevano bloccati in macchina per aspettare le chiamate, giusto? E non avevano così la possibilità di andare in giro a piedi in mezzo alla gente».

Cooper pensò alla prima volta che vide William Shatner, il capitano Kirk di Start Trek, usare quello che sembrava un telefono portatile senza fili in un episodio della serie.

«Sì, l’aneddoto del sovrintendente è stato una delle ragioni principali.»

Il giornalista aveva già preso nota della cosa durante la conferenza stampa. Annuì e disse in tono scherzoso:

«Spero solamente che questa cosa non prenda piede come Pong. Sa, quella specie di gioco elettronico che si trova nei bar, dove c’è una pallina che rimbalza da un lato dello schermo all’altro e tu devi essere bravo a prenderla e a rilanciarla. Lo chiamano simulatore… o qualcosa del genere».

Il giornalista accentuò con finta rassegnazione le ultime due parole, che richiamarono alla mente di Cooper, per dissomiglianza, la fissità dell’idea telefono/automobile dei suoi concorrenti alla Bell. E in quel momento, capì chi avrebbe dovuto chiamare.

Si fermò di colpo, prese il Dyna-Tac: più di un chilogrammo di peso – 25 centimetri di lunghezza, largo 4 e profondo quasi 8 – longevità della batteria, 20 minuti – compose il numero e si portò all’orecchio il cellulare.

Era visibilmente in agitazione.

Pensò al primo test fatto l’anno prima a Washington, dopo aver chiesto agli ingeneri della Motorola di presentargli le loro idee. Far entrare duecento parti diverse in un apparecchio che non doveva essere più grande di una scarpa non fu un’impresa facile e infatti, la versione finale del prototipo crebbe di settimana in settimana fino a raggiungere quelle dimensioni. Martin pensò alla montagna di soldi spesi dalla società e a quelli da spendere per arrivare alla commercializzazione del prodotto. Pensò alla partita di tennis che avrebbe voluto giocare il giorno dopo e alle immersioni che era solito fare alle Hawaii, quando lavorava nei sottomarini. Pensò a tutto questo, e poi sentì il peso del Dyna-Tac sulla mano e sul braccio: nessuno avrebbe potuto sostenerlo per più di venti minuti, ma per fortuna la batteria non era stata creata per durare più a lungo.

I newyorchesi che lo superavano sul marciapiede, si voltavano per vedere che cosa stesse facendo, mentre quelli che lo incrociavano, camminando dalla parte opposta, sgranavano gli occhi per poi voltarsi anch’essi appena lo avevano superato. Cooper, senza badare al traffico, e con la speranza che dall’altra parte rispondesse qualcuno, scese dal marciapiede, ma al primo passo sulla strada, il giornalista, che si trovava dietro di lui, lo tirò da un braccio verso di sé, salvandolo da una Corvette che stava arrivando a velocità spedita. Cooper sorrise imbarazzato, quando la voce del suo rivale, Joel Engel, ingegnere alla Bell, rispose dall’altro capo:

«Pronto?»

Cooper fece cenno al giornalista che afferrò la macchina e iniziò a scattare delle foto.

«Ciao Joel, sono Martin, e ti sto chiamando da un vero cellulare… da un vero – telefono – portatile – senza fili.»

Il giornalista scatto l’ultima foto. Gli occhi di Martin Cooper erano fissi sulla strada, ma nel complesso, l’espressione del volto era soddisfatta, quasi compiaciuta. La prima chiamata pubblica a un telefono fisso, dal primo cellulare in circolazione, non era stata perlomeno una chiamata senza risposta.

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