Scrivere significa riscrivere

Albert Camus

E intanto la triste verità era che non tutti potevano essere straordinari, non tutti pote...

Jonathan Franzen, Le Correzioni

I suoi occhi gialli hanno lasciato una sola fessura per gettarvi le monete della notte

Ode al gatto, Pablo Neruda

Non avrebbe saputo spiegarla, era una pena che superava il suo livello d'istruzione

Céline, Viaggio al termine della notte

È difficile spiegare - in quel gioco delle sedie - perché alla fine si fossero fermati l...

Zadie Smith, NW

Spetta all'individuo, e al gruppo di individui, trasformare il brutto in bello

Tom Hodgkinson, La libertà come stile di vita

Ogni disordine è disordine controllato, trapunto d'intervalli riservati alla vendita di a...

L'animale morente, Philip Roth

30 Giugno 2020

Il Giallo: l’omaggio di un detective

Articolo scritto per Narra-Tour.com

Un altro modo per descrivere i generi letterari che danno tono e forma alle nostre letture

«Qualcuno gli aveva sparato alle spalle con un fucile, anticipando di una settimana l’inizio della stagione di caccia. La vittima, un abitante della vallata, faceva parte come molti altri di una specie protetta: l’uomo. A rigor di logica, quindi, l’assassino doveva essere un bracconiere. Coprirono il corpo con un telo. L’ispettore Salis vide una poiana avvolta nel suo piumaggio maculato, che lo osservava da un ramo con i suoi occhi rapaci…».

Chiudiamo il libro, ora, e accendiamo la luce.

Potete aiutarmi a scoprire chi sia il mandante di quest’ultimo crimine? Sul mio taccuino ho disegnato il volto di un possibile sospetto: capelli scarmigliati su una fronte alta, labbra sottili su cui poggiano dei baffetti radi, occhi distanti, acquosi, lo sguardo di un uomo immerso nelle sue colpe. Come l’ispettore Salis, ho bisogno anch’io d’indizi da seguire, di prove da collezionare, e in ultimo di certezze, di quelle, o di qualcosa che assomigli loro. Voglio scoprire chi è il colpevole di questo lungo cammino di morti letterarie. Voglio stanare il genio che ha dato vita al romanzo poliziesco, un genere che mi arrossa gli occhi fino a farli sanguinare, sotto lampadine accese di notte che bruciano dalla tensione.

Chi sono io? Una delle vittime di quel genio: un lettore feroce e insonne, che vuole arrivare ai Caini sparsi in milioni di pagine, che vuole nutrirsi dei trucchi, delle trame e delle motivazioni. Se anche voi siete come me, soffrite come soffro io, o avete appena iniziato o finito un nuovo Giallo, il nome del sottoscritto è anche il vostro.

Allora iniziamo, Detective!

Seguiamo le tracce che ci porteranno ad ammanettare il padre indiscusso del “crime”.

Milano. Sede centrale della Mondadori. Ore 10:17.

Non c’è luogo migliore da dove iniziare, qui: in un’Italia indolente e assolata. Non penserete che il termine “Giallo” sia usato anche negli altri paesi, vero? Ma è nella casa editrice fondata da Arnoldo Mondadori che, nel 1929, iniziò quella lunga saga di delitti cartacei risolti, rilegati da una copertina gialla, e fu quell’impronta grafica a imporre il nome al genere. “I Gialli Mondadori” è una collana composta da migliaia di titoli, per milioni di aspiranti investigatori. Guardate nelle vostre librerie, negli scatoloni in cantina o in garage, e ne troverete almeno uno. Per molti anni, centinaia di nuove uscite hanno inondato uno Stivale che avvolgeva una gamba esangue: abbattuta a colpi di scena.

Ma tornando a noi…

Ho interrogato chiunque. Domande agli editor, ai correttori di bozze, ho chiamato a raccolta i consulenti editoriali, ma niente. Risposte aleatorie, silenzi, una diffidenza mascherata da una cortesia posticcia. Qualcuno ha fatto il nome di Camilleri. Volevano depistarmi, sciocchi! Da Porto Empedocle al resto del mondo, tutti sanno che lo scrittore siciliano è il padre nobile di un Commissario, un certo Montalbano: persona sanguigna, decisa e scaltra.

Ma prima di uscire dall’edificio di Segrate, si è avvicinata una donna stretta in un tailleur bianco, di cui avevo notato lo sguardo incerto davanti alla macchinetta del caffè: “Vada a Londra», mi ha detto, con la voce tremante e gli occhi spiritati di un animale notturno: «Al 221B di Baker Street. Lì, scoprirà qualcosa che l’aiuterà nelle sue indagini».

Non ho ancora nulla in mano. Questo è un fatto. Ma il suo invito, non so per quale ragione, ha assunto la forma di una chiave, inglese: un’arma da copione per un omicidio passionale.

Il mio intuito punta verso Nord.

Siete pronti, detective?

Let’s go!

Londra, 24 ore dopo.

Arthur, Conan, Doyle, uno e trino. Non capisco se quella donna ha cercato di incastrarti, o di gettare un po’ di fango sulla tua figura austera. Quando decidesti di collocare l’appartamento di Sherlock Holmes a Baker Street, quella via arrivava solo al numero 85. Lo facesti per non importunare nessun cittadino londinese, la tua intenzione aveva un merito; ma dagli anni trenta, il comune aveva stabilito un nuovo ordine ai numeri civici, aggiungendone altri; e tuttora c’è una buchetta delle lettere che si riempie di omaggi provenienti da tutto il mondo: parole di stima rivolte al detective più famoso nella storia del poliziesco. Davanti al 221B di Baker Street, sede del museo su Sherlock Holmes, con la famosa targa blu che capeggia sul muro, mi chiedo che cosa io speri di trovare. Non è qui che si nasconde l’uomo che sto cercando: l’iniziatore, le mani che per prime si sporcarono d’inchiostro giallo. Sono molto vicino, ma non sei tu, Sir Conan Doyle.

Dovrei forse andare dai parenti di una certa Agatha Christie? Vi dicono qualcosa il nome Hercule Poirot e Miss Murple? O dovrei oltrepassare la Manica per raggiungere le coste del Belgio? So che lì nacque un uomo straordinario, un grafomane, Georges Simenon, dicono che riuscisse a scrivere una media di ottanta pagine al giorno. Il suo commissario Maigret ha risolto un numero sterminato di casi. Ma questo Simenon era uno scrittore troppo giovane. Le date non corrispondono. Non può essere lui.

Una chiamata: “Segui la lingua e troverai chi stiamo cercando. Sei solo nel paese sbagliato. Ti ho comprato un biglietto per domani. Il sogno e il delitto americano, amico mio. E tu andrai in cerca del secondo».

Westminster Burial Ground. Baltimora.

I casi non si risolvono grazie agli sforzi di una persona sola, c’è sempre una narrativa condivisa che sorregge anche quelli veri, soprattutto quelli. Tu non sei colui che li scrive, tu ne sei scritto.

Dopo aver ricevuto la chiamata del cliente che mi ha commissionato il caso – un lettore vorace anch’esso, con più mezzi di quanto ne abbia io, ma meno propenso a mischiarsi nel fango – la nostra ricerca, detective, ci ha portati davanti a questa tomba. Ogni cosa che accade trova ristoro sotto due metri di terra, all’interno di un archivio, o su uno scaffale impolverato di una libreria in ombra.

Sei tu l’antesignano, il corvo sulla tua lapide tiene a distanza i curiosi: Edgar Allan Poe, avrei dovuto capirlo da tempo. Sul mio taccuino c’è un volto che assomiglia al tuo. Una persona che ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto: la propria immagine riflessa, l’immagine di un uomo qualunque, senza i falsi orpelli della luce ad addolcirla.

Chi viene trovato riverso in una strada, delirante, con indosso abiti non suoi, mentre prega Dio di salvargli l’anima, pochi giorni prima di morire nel 1849, non può essere che lui: il colpevole che stavamo cercando.

“I delitti della via Morgue” è il racconto che può essere considerato il capostipite del poliziesco.

Uno strato di terra ci separa dal poterti consegnare alla giustizia di poveri condannati a un genere letterario che miete più vittime dell’alcol e della pazzia.

Sì, la follia, Edgar, quella di cui ti hanno sempre accusato in vita.

«Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ha potuto ancora stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d’intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell’intelletto in generale.»

E così sia.

Detective, il caso è chiuso.

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